lunedì 5 aprile 2010

:: recensione Midoriyama by Kchan, 2005

`And Green Leaves Grow´ // `Candle City´
Autore disco:
Midoriyama
Etichetta:
Forty-4 (J)
Link:
Formato:
CD-R
Anno di Pubblicazione:
2004 // 2003
Titoli:
1) green leaf 2) a drop: am 3) sad-eyed bird 4) losing my wings 5) winds die away 6) in the sun 7) swim across the sky 8) by the window 9) bookstore moon 10) the chair is still warm 11) the tears: Pm 12) after I forgot 13) and green leaves grow // 1) damage town 2) empty station 3) like a sea mew 4) oil tower 5) five o’clock 6) there goes the bell 7) dissolving sun 8) lost in museum 9) tangled up a view 10) green lake 11) grandma’s song 12) night parking 13) waiting room
Durata:
26:46 // 32:35
Con:
Midoriyama

il silenzio di un haiku postmoderno
x kchan
’the scene drawn with the guitar of a silence leaves nostalgia and warmth to you. It’s like an old fairy tale’
La Forty-4 Records è l’etichetta personale di Takaakira Goto, chitarrista dei Mono.
Recentemente apertasi al mercato estero, presenta titoli di rara bellezza.
Fra questi, i due lavori di un giovane chitarrista di Tokyo chiamato Midoriyama. “A GreenLeaves Grow” esce due anni dopo il debutto su Forty4 Records, il bellissimo “Candle City”, attualmente in fase di remastering in supporto cd.
Entrambi i lavori sono una raccolta di poesie per chitarra, intense e delicate al tempo stesso. Poesie agrodolci, composte dal fraseggio di una voce sola, a volte punteggiate da vaghe armonizzazioni, più spesso sollevate da profondi riverberi.
Midoriyama ‘canta’ la natura densa e sottile degli eventi. Particolari soprattutto. Una foglia verde oscilla. E’ l’alba, una goccia (green leaf, a drop: am).
Così come nel primo lavoro, anche in “A GreenLeaves Grow” le note vanno e vengono solitarie o a grappoli, a sollecitare le presenze timide e nascoste del quotidiano.
A volte le tracce non durano che pochi secondi: un’apparizione fugace (damage town in “Candle City”). Altre volte, al contrario, si dilungano tormentate a sorvolare la stessa materia in cerca si una risoluzione possibile.
Il suo è il tocco di un pittore. Gocce di luce a scolpire il silenzio o al contrario il silenzio ad inseguire la luce.
Rivela ciò che ci si dà celato, con un interesse specifico per i mondi in processo, l’alba, lo spazio un momento dopo esser stato vissuto (the chair still warm; dissolving sun, after i forgot), il rigonfiamento del tempo nell’attesa (waiting room), il decadimento e la perdita.
Il suo è un silenzio della presenza, fatto di luce e tempo. Singole note, riverbero, una trama fragile, sempre sul punto di liquefarsi, troppo densa per durare, troppo breve per esser davvero compresa. ‘Un uccello dagli occhi tristi…una sedia ancora calda, poi dimentico…e crescono foglie verdi’. Un lavoro di spoliazione del suono fino alla sostanza prima: accade un evento, ne ascoltiamo l’eco, giunge la coda del suono… stallo, ripresa e l’invisibile si mostra.
L’impressione è che le figure melodiche non appartengano mai all’oggetto in sé, quanto allo spazio e al tempo che sorreggono e fanno l’oggetto. Secondo un duplice registro. Il tempo che chiede una goccia per nascere, svilupparsi, morire, riverberare.. Ancora, il tempo che chiede l’esperienza per esser assorbita e per esser raccontata.
Lento, sospeso.
Una melodia che non è forzatamente narrativa ma, al contrario, frammentata, dispersa, fin troppo delicata e distante per essere immaginata – slancio in avanti - o ricostruita - sguardo all’indietro.
Passato e futuro non funzionano in sé. C’è solo un presente sospeso, carico delle tracce del passato e del presentimento del futuro. Come in un sogno. Indizi per una trama possibile, in crisi fra ricordo, esperienza, fantasia. Il tempo dell’evento ed il tempo del racconto sono compressi in un unico spazio di presenze incerte.
Assorbire e raccontare il mondo significa assumere un tempo altro, un tempo dis-umano. Tempo di sogno o semplicemente tempo dell’esistenza. Tanto da perdere la giusta distanza, l’uccello è altro da me, l’uccello sono io (losing my wings).
Una sola accelerazione - di qualche secondo - è prevista nel finale di “A GreenLeaves Grow”, un guizzo, solitario e breve; la tensione prima di cedere (after i forgot), quasi un rigurgito di tempo umano, quello della memoria; poi il disco si chiude.
Ancora un bagno di luce e quiete e le foglie verdi crescono.
Quiete, pause, melodie disperse. Non stupisce che Midoriyama venga presentato come un esponente della scena dei chitarristi silenziosi di Tokyo.
Ma con una precisazione. Se comunemente l’attributo ‘silenzioso’ rimanda ad un’operazione concettuale e stilistica ben nota negli ambienti di ricerca contemporanea – per i chitarristi Annette Krebs o l’ultimo Taku Sugimoto ad esempio – qui al contrario siamo nel pieno di una ricerca espressiva che non cede mai a soluzioni metalinguistiche.
Qui il silenzio è quello di un haiku postmoderno.
Non a caso alla produzione c’è Takaakira Goto dei Mono e alla supervisione nientedimeno che Reiko Kudo. Ancora, Midoriyama collabora stabilmente con un’altra poetessa straordinaria, la fisarmonicista giapponese, A Quic Avec Gabriel, nota dalle nostre parti grazie all’intuizione del solito John Zorn.
Una costellazione di artisti che continuano a cercare nella discrezione, nella semplicità e nel silenzio la poesia del mondo.
Quando musica e poesia non sono che gli unici mezzi che abbiamo per conoscere e curarci dal/del mondo.

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Data Recensione: 11/6/2005

:: recensione Blonde Redhead 'Misery Is A Butterfly' by Kittychan, 2004

Blonde Redhead 'Misery Is A Butterfly'
(4 AD 2004)

Un noto signore filosofo diceva che si dovrebbero leggere solo quei libri che sono un colpo in testa. 'Misery Is A Butterfly' è questo tipo di creatura, l'ombra che si infila nel sonno solo per picchiarti, quel non senso provvisorio e sottile che ti restituisce il cuore, finalmente. Se fate un giro in rete troverete delle recensioni molto belle di questo lavoro, perciò non aggiungerò altri commenti, riferimenti o storie su "Misery". Vorrei solo sottolineare la generosità di una simile proposta (la crudeltà è sempre generosa). Un disco opaco, onirico e denso quanto può esserlo uno stato di coscienza, un'immersione tanto assoluta quanto fragile, là nel luogo dove si fa l'esperienza concreta del patire e divenire la farfalla Misery. Ultimamente sembra che non si possa fare a meno di dichiarare 'tristezza e depressione' per essere un buon gruppo post-rock... I Blonde Redhead prendono un'altra via. E' la timidezza, la cura, l'attenzione nell'attraversare un certo luogo -la farfalla, la montagna magica- a raccontare una tensione fisica ed emotiva, una trasformazione, un divenire appunto, che forse è tristezza, forse malinconia o forse semplicemente struggente meraviglia. Ma senza mai dichiarare nulla, piuttosto, sussurrando con dolcezza. In tutto ciò sta il morbido rapimento (si diceva una volta che la musica 'rapisce') precario e irrisolto di "Misery is a Butterfly", giusto il tempo del volo. E poi? Ti ritrovi a terra, ossessionata da quelle melodie crudelmente apparse e scomparse: "Lay me down in the ground softly, softly. Don't remove my head hurts much too much" (Elephant Woman)
Aggiunto: March 30th 2004
Recensore: Kittychan
Voto:
Link Correlati: Sito ufficiale dei Blonde Redhead
Hits: 768
Lingua: italian

:: recensione OVO/kk NULL di Kittychan,2004

Ovo/KK Null 'Split'
OvO/K.K.NULL
OvO Cicatrici
Di Kittychan Doppia riproposta e doppia recensione anacronistica, ma quanto mai attuale e necessaria, per i maestri del suono e delle soluzioni onnivoro-borderline.
Iniziamo dallo split a tre pollici OvO/K.K.NULL (cd 3”, Bar Las Muerte/ Sunship records, 2003)

La prima esperienza è come al solito tattile e visiva; la confezione del mini, la copertina e la scelta grafica, sono tutti elementi che ritardano l’inserimento del cd nel lettore, quasi bastasse sprofondare nello sguardo malinconico e impassibile delle ragazze in matita di Stefania per soddisfare le frequenti rimozioni psico noise della nostra esistenza… La prima traccia è a cura di k.k. Null, celeberrimo ed eclettico esponente della scena noise giapponese, chitarrista degli Zeni Geva ed ex ballerino Butoh (!). Protostar è una specie di immersione – con conseguente risalita – fra gli ingranaggi di macchinari obsoleti: il borbottio space di un robot di vecchia generazione prima di essere rottamato o un omaggio ai giorni di gloria di pac man e compagni. La performance del giapponese ricorda un po’ i paesaggi elettronico industriali di Chu Ishikawa - quello di Tetsuo – in una possibile interpretazione di Panacea e la sensazione generale è quella di un divertito sguardo all’indietro. Sguardo felicemente in avanti invece per gli OvO con due tracce remixate da miniwagonwheel ( ed ancora una volta il connubio con i Rollerball è vincente). Se Protostar celebrava l’ultima escandescenza di un robot, in Claws i robot se la spassano nei nuovi quartieri della fantascienza urbana! Il montaggio fra atmosfere industriali e sincopi breakbeat scandisce perfettamente la parata spensierata di macchinari pieni di vita, spiriti giovani nel pieno del proprio tecnologico narcisismo esibizionista Infine Tails: un algoritmo impazzito fatto di noise core, industrial e free jazz, un tripudio caldo ed acido per voci rumori e macchine – in gran stile OvO – a ricordarci quanto sia semplice e geniale tracciare una struttura senza che la si programmi (gli OvO frattali!!) Assolutamente da avere questo split; di quegli oggetti che se li avessimo comprati a scatola chiusa in un negozietto underground di una metropoli X - presi da impulso feticista per la confezione -avremmo detto “Wow, da queste parti allora esiste ancora la ricerca!!”

Secondo: Cicatrici (Bar La Muerte-Ebria Records, 2004)

Cicatrici si apre con Candida, una ballata intrecciata, soffice e breve, ed è come se da un oblò stessimo assistendo al passaggio incantatore di singolari bolle di sapone ballerine. Il doppio gioco del nome è anche il doppio gioco della sua funzione. Sì, candida è l’innocenza, ma anche quello strano fungo co-inquilino che alberga nelle nostre cavità intime. Candida è un fungo saprofita: ti abita insomma senza farti male. Viene il dubbio che si parlerà di cicatrici particolari, allora. Sfuma o scoppia l’ultima bolla e, come vuole la tradizione, si apre il sipario: La peste (!!) Dal fungo al batterio, un passaggio possibile nei mondi umidi ed infetti degli Ovo. Il riff rozzo e tagliente della Peste scandisce i tempi della proliferazione; i raddoppi tribali di Bruno, la voce cavernosa e penetrante di Stefania contribuiscono all’ingrossamento imbarazzante dei linfonodi. Siamo in preda al delirio e all’allucinazione, o meglio, siamo infetti. C’era da aspettarselo.... Con Ombra nell’ombra si accende un ricordo, che ha il sapore di uno strano sogno. Bruno l’incappucciato percuote il basso in perfetta sincronizzazione rituale col proprio corpo. Il viso ci è negato. Stefania da un angolo del palco trita le corde con un innocuo pettine. L’impatto sonoro è indissociabile dallo strano sentimento di inquietudine visiva del live-set. La stessa viscerale inquietudine trasuda dal disco: ed è un sollievo per chi temeva che la formula al 50% di composizione potesse frustrare l’intensità delle forze di impatto evocate – quasi si trattasse di stregoneria – dagli Ovo. In Efesto, coda capovolta della precedente, tornano gli stessi fattori pestilenziali: ossessione industriale, corrosività e lame fra i dreadlocks di Stefania. Rock and roll noise per La saponatrice di Ferrara, bellissima infrastruttura per batteri in libera copulazione – consonanti e vocali antropomorfe in una gara di tuffi con mostricciatoli di gomma e plastica (tiki a tin tin take). Una lotta di quartiere contro la disinfestazione, regolata dal gaudio punk, o meglio, un’impresa di strutturazione e igienizzazione sonica e valoriale che può reggersi solo a patto che si tratti di un gioco. Come volevasi dimostrare la struttura è già persa, e Spezzata riprende i giochi d’acqua (di sapone si parlava) per farne una sinfonia rumoristica di singhiozzi sulfurei prima ed una squilibrata fiabesca filastrocca che si autodivora poi. Siamo in zona gastrica (Spezzata si è appena divorata…) e gli Ovo si destreggiano in un canto rituale da post intelligenza artificiale: a orchestrare i cordoni viscerali c’è una drum machine di bacchette cinesi in moto perpetuo, un sorridente battitori di tamburi e delle narici vocali sintetiche attorcigliate su melodie orientali. Phiphenomena, nasce da una performance live in Usa con Bruno ai pedali e Stefania alla voce e violino. Un capolavoro. Questo è il luogo degli Ovo o il luogo della guerriglia batteriologica: un vortice noise, impro distruttivo dell’intero spettro vocale, rumori, frequenze, pioggia nera, venti e correnti soniche. Il fungo è ora quello ironico e vertiginoso della bomba H; l’infezione e la radiazione come potenze di una metamorfosi organica ineluttabile. Infine il balsamo dolce di una chitarra folk – Signora bella con cane gentile - a ricucire le carni interrotte e le escrescenze verdastre da radiazione. Il corpo è dunque sano e si torna alla candida, qualcosa che ti abita senza far male. Gli Ovo fanno questo. Sono untori (di peste) e unti – l’unto è chi stato consacrato sacerdote in nome di Dio - al tempo stesso. E’ una musica rituale la loro: evocano le forze metamorfiche delle potenze batteriche e le lasciano libere di manifestarsi. Incuranti della forma che prenderanno, incuranti degli organismi che ne nasceranno. Incuranti dei sotto-organismi che contribuiranno alla metamorfosi. Carne, plastica, metallo, ologrammi, gomma e cartone per un unico organismo vivente. Ed è una metamorfosi balsamica, innocua, liberatoria. Non sono molti i musicisti che sanno chiamare a sé una simile potenza. E quando gli stregoni e le formule alchemiche sono troppo indecifrabili – la nota proprietà indigesta degli Ovo- sono i bambini a darci le chiavi del mistero: un cane a tre zampe ed una potente sciamana sono semplicemente “Signora Bella con cane gentile” (Stefania, vista la prima volta da un bambino). Una chiave che non è un vezzo biografico ed autoriale, ma la non banale risposta alla inesauribile creatività borderline degli Ovo. Le cicatrici sono l’ operato quotidiano della bellezza, della gentilezza, della dedizione e dell’onesta; sono questi i componenti segreti che rendono possibile la coagulazione fra le contraddizioni, i generi e i suoni impossibili, la schizo-polifonia latente alla voce, il noise e la canzone. La cicatrizzazione fra malattia e cura è una questione di virtù…
Aggiunto: August 30th 2004
Recensore: Kittychan
Voto:
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Lingua: italian