giovedì 6 maggio 2010

:: Favole E Brividi Dal Future Film Festival 2006

Articolo del 2006 a doppia firma Kitty (IOIOI) + Carmilla (my little sister Lucilla :)
Reportage dal FFF 2006, Bologna, Italia.

Kathodik - Transasia Special Future Film Festival 2006
Favole E Brividi Dal Future Film Festival Di Bologna.
(Ottava Edizione, 18-22 Gennaio 2006)

di Carmilla ( splappis@yahoo.it ) e Kittychan ( kfraticelli@hotmail.com)


Da Sandman alla Terra delle Ombre : MirrorMask
MIRRORMASK 
UK-USA 2005

Regia: Dave McKean
Sceneggiatura: Neil Gaiman, Dave McKean
Interpreti: Stephanie Leonidas (Helena), Gina McKee (Joanne), Rob Brydon (padre di Helena )



Anteprima italiana al Future Film Festival, MirrorMask ha origine da una proposta rivolta a Neil Gaiman dalla Jim Henson Company, nota casa  produttrice di film fantasy, tra cui l’intramontabile Labyrinth. Racconta Gaiman, nel corso di un incontro con il pubblico di Bologna nel Giugno del 2005, di aver accettato di scrivere la sceneggiatura del film soltanto alla condizione che a dirigerlo fosse Dave McKean, tra i suoi più preziosi collaboratori dal 1986, autore delle copertine di Sandman  e illustratore di altri svariati progetti editoriali dello scrittore (quale ad esempio il cupo libro per l’infanzia Coraline).
Gaiman, padre di Sogno degli Eterni,  rimane fedele ai propri temi e  sviluppa nel film la storia  di un sogno bizzarro e vorticoso, che inevitabilmente si confonde con la vita o addirittura la sostituisce  lungo i sentieri della crescita e della conoscenza di se stessi. Helena (Stephanie Leonidas), la giovane protagonista, proviene da una famiglia di circensi e desidera più di ogni altra cosa abbandonare il mondo dei giocolieri per vivere una vita reale. Dopo l’ennesimo conflitto con i suoi genitori, viene a conoscenza della grave malattia della madre: è a questo punto che ha inizio il suo visionario sogno nelle Terra delle Ombre, alla ricerca di MirrorMask, il sacro amuleto che le consentirà di salvare la Regina Bianca (sua madre) dal sonno eterno e di liberare se stessa dalle insidie della Regina Nera  e della sua figliastra (alter-ego di Helena, dark lady ribelle e trasgressiva). Se il tema è dunque quello di un percorso di liberazione e salvezza (la madre di Helena guarisce, Helena ritrova l’armonia con la sua vita e la sua famiglia) non è sbagliato paragonare il viaggio onirico di MirrorMask  a quello di Alice e delle altre eroine della nostre fiabe, che nel Paese delle Meraviglie compiono passi incerti, ma decisivi, verso l’età adulta. E’ lo stesso Gaiman ad affermare il fascino di questa trasformazione, ”ovvero il passaggio dall’essere ragazza all’essere donna […] Come smetti di essere una ragazza e diventi una giovane donna? Puoi impedire questo cambiamento? Che significato ha? ”.
Al di là dei temi e degli intenti, comunque, ad emergere con prepotenza e ad entusiasmare il pubblico è l’immaginario vivace di Gaiman e McKean che, nonostante il budget limitato, sono riusciti a creare un mondo straordinario affidandosi solo alle proprie idee e alle abilità di un gruppo di giovani grafici appena usciti dal college (che, ammette scherzosamente Gaiman, “non erano nemmeno al loro primo film, ma erano al loro primo lavoro!”). E allora i sogni di Helena - e i nostri - si popolano di giganti orbitanti, di gatti-sfinge affamati, di libri dotati di personalità  e di esilaranti uccelli-scimmia dal becco cadente. I disegni si animano, come profili ritagliati su carta e impazienti di muoversi, ed è ancora nei disegni e attraverso i disegni che i personaggi viaggiano e si guardano. Le pareti delle stanza di Helena sono  un collage di illustrazioni, così come l’intera pellicola, nella necessità di riempire ogni spazio ed ogni istante di matita e di colore,  per renderlo inimitabile,  ossigenato e vivibile. MirrorMask è dunque un film che consacra la possibilità per i due autori – fra i più significativi nel fumetto contemporaneo – di farsi strada nel campo esigente del cinema e dell’animazione  conservando la coerenza e l’autenticità della propria opera  senza comprometterne quella delicatezza e anche quel fascino melanconico che da sempre la caratterizzano.




Storie di fantasmi giapponesi: Kwaidan e Yokai Daisenso

KWAIDAN 
Giappone, 1964
Regia : Koboyashi Masaki
Sceneggiatura : Mizuko Youko
Interpreti : Mikuni Kentaro; Aratama Michiyo; Watanabe Tatsuya; Kishi Keiko; Nakamura Katsuo; Tamba Tetsuro ; Nakemura Ganemon; Takizawa Osamu; Akagi Ranko.



Kwaidan, film ad episodi di Masaki Koboyashi (1964), viene presentato - insieme ad altre “spettrali” produzioni dell’epoca - all’interno della rassegna “Storie di Fantasmi Giapponesi”, con l’intento di rivelare le origini del new horror giapponese che, da qualche anno ormai, sconvolge  il mondo con i suoi incubi e il suo tragico rancore (Ring, Dark Water, Kairo). Il termine “kwaidan” nel suo uso corrente sta ad indicare un particolare tipo di racconto giapponese tradizionale, dai connotati  tragico-horror e pervaso di inquietanti archetipi del folklore dell’isola, primo fra tutti quello della donna fantasma dalla lunga chioma corvina che perseguita gli uomini assetata di vendetta (in altre parole un’antenata della Sadako di Ring). Koboyashi in particolare attinge all’opera letteraria di Yakomo Koizumi (alias Lafcadio Hearn) per ripercorrere - in quattro episodi - i temi propri del kwaidan:  gli  spettri animati dal “ju-on”, rancore (nel primo episodio, The black hair), l’amore tragico e delicato fra umani e donne  fantasma (secondo episodio, The woman of the snow), il richiamo ossessivo del passato che ritorna (con le sue battaglie e le sue vittime nel terzo episodio, Hoichi the earless), la fatalità  che condanna tutte le azioni umane (anche le più banali, come il bere una tazza di tè nel  quarto episodio, In a cup of tea). Il risultato è quello di un capolavoro horror, in assoluto fra i più affascinanti di tutti i tempi, in cui la tradizione nipponica, nei suoi aspetti più cupi e “soprannaturali”, trova un connubio perfetto con alcuni elementi di contaminazione “occidentale”, quali la scenografia pittorica (indimenticabili gli stendardi sanguinosi del terzo episodio, o i cieli stilizzati del secondo), a metà strada tra  arte tradizionale autoctona e cinema espressionista, o la sospensione della vicenda  fra realtà e irrealtà, e fra tempi interiori ed esteriori, che ricorda quella delle migliori produzioni “nouvelle vague”. Da segnalare inoltre è la colonna sonora di Toru Takemitsu che, fra ossessioni di rumori ed espansioni di silenzi, si completa alle immagini in maniera del tutto innovativa e si figura come elemento indispensabile nella creazione di ogni suggestione e tensione. Vincitore del Premio Speciale della Giuria al Festival di Cannes del 1965, Kwaidan è il miglior esempio di fusione armonica tra origine e modernità in cui si realizza un torbido sposalizio fra paura ancestrale e arte visiva e in cui il soprannaturale non può che essere sinceramente creduto, nella sua terribile cupezza così come nella sua sconvolgente bellezza.



YOKAI DAISENSO 
Giappone, 2005
Regia: Takashi Miike
Sceneggiatura: Hiroshi Aramata
Fotografia: Hideo Yamamoto
Interpreti: Ryunosuke Kamiki, Hiroshi Aramata, Kiyoshiro Imawano, Chiaki Kuryama, Masaomi Kondo, Natsuhuko Kyougoku, Hiroyuki Myasako, Sakeyama Saamon, Bunta Sugawara, Mai Takahashi, Naoto Takenaka, Etsushi Toyokawa
 


Yokai Daisenso (La grande guerra degli Yokai) di Miike Takashi  viene proposto all’interno della stessa rassegna come esempio di modernizzazione di un altro archetipo fondamentale del genere “kwaidan”, quello degli “Yokai”, le divinità della natura e delle cose che vivono (in genere pacificamente) accanto agli uomini e che solo i bambini – e i puri di cuore – riescono a vedere. Nell’immaginario nipponico gli  Yokai assumono le forme più svariate, che spaziano da quelle di simpatici folletti, a quelle femminili di donna-sirena o donna delle nevi (quest’ultima presente, peraltro, anche nel secondo episodio di Kwaidan) fino a quelle di bizzarri oggetti animati, come l’incredibile ombrello saltellante con un occhio solo. Figli della più autentica tradizione animistica del Giappone - che agli Yokai ha dedicato diverse produzioni cinematografiche, compreso una popolare serie degli anni 60-70 diretta da Kuroda Yoshiyuki con il titolo di Yokai Monsters –  in Occidente gli Yokai hanno già da tempo appassionato gli amanti del genere facendo la loro apparizione, ad esempio, nei lungometraggi di animazione di Miyazaki , da Totoro alla Principessa Mononoke fino alla Città incantata. Ed oggi tornano agguerriti e inaspettatamente nell’ultimo lavoro di Miike Takashi che abbandona (ma non del tutto) la violenza di Audition e di Ichi the Killer per dedicarsi ad una favola, a metà strada tra horror e fantasy, in cui gli Yokai si alleano con il piccolo protagonista Tadashi per salvare il mondo e gli umani dal terribile demone Kato. Il film è un remake di un episodio omonimo del 1968 (Yokai Monsters 1: Spook Warfare)  tratto dalla stessa serie di Kuroda Yoshiyuki, a cui Miike aggiunge il suo estro: il risultato è una pellicola straordinaria, a tratti visionaria e spaventosa, a tratti commovente e dolcissima, in cui non mancano intervalli esilaranti (come quello in cui la battaglia di Tokio viene trasformata dai folletti in una folle festa) e da cui emergono, in maniera quasi anacronistica per i nostri tempi, il valore del rispetto per l’ambiente e per la vita che scorre in ogni componente del pianeta. Un film, dunque, dai colori anche ecologisti, in cui  Kato crea le sue armi da guerra dalla rabbia degli  oggetti usati e abbandonati (un attacco all’uso indiscriminato delle risorse della terra  e agli acquisti superflui?) e in cui uno yokai offeso decide di rimuovere ogni sentimento di odio e di vendetta per non assimilarsi agli umani, esseri ingrati e crudeli. Come ha dichiarato lo stesso regista (in occasione della presentazione del film all’ultima edizione del Festival di Venezia ) “forse dovremmo cominciare a guardare le cose da punti di vista diversi, e imparare dagli yokai”, quasi che ci fosse speranza per noi uomini di imparare a rispettare noi stessi e la vita;  eppure non possiamo che rammaricarci quando, alla fine del film, Tadashi si dimentica dei suoi amici yokai, perché è diventato adulto, come noi, e la magia è finita.



Per gli interessati ecco l’elenco di tutti i film della rassegna “Storie di fantasmi giapponesi”:
 
Yotsuya Kaidan (The Yotsuya Ghost Story, 1949) di Kinoshita Keisuke
Yotsuya Kaidan (The Yotsuya Ghost Story, 1959) di Misumi Kenji
Kwaidan (1964) di Kobayashi Masaki
Kaidan Botan-doro (The Bride From Hell, 1968) di Yamamoto Satsuo 
Yokai Daisenso (Yokai Monsters 1: Spook Warfare, 1969) di Kuroda Yoshiyuki
Hausu (House, 1977) di Obayashi Nobuhiko
Kairo (Pulse, 2001) di Kurosawa Kiyoshi
Yokai Daisenso (The Great Yokai War, 2005)di Miike Takashi















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